L’attesa è durata più di tre decenni, ma il Napoli ha messo fine alla coda e ha portato a casa lo scudetto dopo aver pareggiato con l’Udinese giovedì scorso. Aspettavo Napoli con passione e vita con il colore celeste che dipinge ogni angolo della città situata nel Sud Italia, che respira il calcio e il suo club locale in modo unico ed ineguagliabile. Il titolo ha un significato speciale per tutto il popolo, non solo per la fine del lungo digiuno della squadra, ma per ragioni storiche con il Paese e i suoi idoli, nonché una dimostrazione di forza e autorità in una regione così sofferente.
Tutti già sanno che l’Italia è un Paese con una forte passione per il calcio. Ma a Napoli c’è un rapporto diverso. Un popolo con la febbre napoletana. Fondato nel 1926, il club è l’unico club della città, rendendo il rapporto unico come la scena calcistica locale. In altre parole, nello sport, la Società Sportiva Calcio Napoli è un modo per difendere e rappresentare il territorio e la comunità partenopea. Passeggiando lì, è molto facile trovare per le strade qualsiasi tipo di decorazione con i colori della squadra, scudi o qualsiasi altra cosa. Il colore azzurro della maglia home dona più vita alla maglia già colorata e colorata.
Con una stagione travolgente, incarnata in un calcio imponente, offensivo e dominante che è stato un piacere guardare, la città è entrata di buon umore, ha guadagnato speranza ed è rimasta in sintonia con la squadra. Quindi il Napoli paga il Napoli e viceversa. Una gita congiunta. Nei giorni scorsi, con il titolo sempre più vicino, era difficile non percepire il clima di liberazione dall’urlo che ci rimane in gola da 33 anni.
Un risultato culminato nel ritorno dopo il fallimento e una breve estinzione negli anni 2000, quando si salvò quando fu acquistata dal direttore Aurelio De Laurentiis, da allora uomo forte del Napoli, e dovette ricominciare tutto da capo in Serie C. La vita a Napoli è una questione di passione All’Al-Madina Club (Foto: Filippo Monteforte / Agence France-Presse)
religione
Napoli è forse l’unico posto al mondo, oltre all’Argentina, dove Maradona è Dio. Il fuoriclasse argentino ha difeso i colori del Napoli dal 1985 al 1990, e con lui la squadra ha vinto fino a quel momento gli unici due scudetti italiani, oltre a vincere la Coppa dei Campioni nell’ultima stagione di Don Diego.
Ancora oggi, nelle canzoni, nelle bandiere e nelle targhe sui muri della città, i napoletani desiderano ricordare le gioie dell’Età dell’Oro, di cui Diego Maradona fu in gran parte responsabile. Tanto che dopo la partenza dell’idolo ed eroe, il club non ha mai più vinto lo scudetto.
Ma il rapporto tra Maradona e il Napoli va oltre il campo. Da quando ha messo in discussione e affrontato apertamente il dominio dei più grandi club italiani, che ha origine nel nord del Paese, dove si concentra il potere economico e calcistico con Inter, Milan e Juventus. Maradona ha toccato le ferite sociali che ancora persistono tra gli italiani quando ha difeso con orgoglio una regione dimenticata che non gode dello stesso sviluppo sociale ed economico del Nord.
Prima della semifinale dei Mondiali del 1990 tra Argentina e Italia a Napoli, la città era divisa. Lo ha dichiarato Maradona, ricordando l’intero conflitto tra il nord e il sud del Paese europeo. Fu una delle massime manifestazioni di difesa del popolo napoletano. E, naturalmente, questo è un grande passo per attirare il sostegno dei tifosi locali nel paese natale della superstar del Napoli.
– Per 364 giorni all’anno il resto del Paese vi considera stranieri, e oggi dovete fare quello che loro vogliono, ovvero tifare per la squadra italiana. Io invece sono il Napoli 365 giorni all’anno – disse allora Maradona.
La mossa ebbe successo, con l’Argentina che batté l’Italia in parte con il sostegno dei napoletani, ma Maradona finì secondo in quella Coppa del Mondo. Nello stesso anno Hermano n. 10 lascia il Napoli, ma i tifosi non dimenticano “El Pepe”. Il culto degli idoli continua ancora oggi per le strade della città, un modo per mantenere vivo il ricordo della stella argentina e delle sue imprese. Non a caso il nome dello stadio del club è stato cambiato in Diego Armando Maradona (ex San Paolo), a ulteriore prova dell’amore per Digito. Passato e presente a Napoli: i tifosi guardano in strada la partita per il titolo del Napoli (Foto: Alberto Pizzoli/AFP)
Il conflitto sociale che divide l’Italia
Napoli è il principale centro urbano del Sud Italia. Così, il Napoli finisce per diventare la maggiore forza calcistica della regione e una delle poche forze che causa disagio ai giganti del nord che dominano il calcio italiano. Ma la distinzione tra forze e concentrazione delle forze non si limita solo alle zone in cui rotola la pallina.
Gran parte della formazione dello Stato italiano, avvenuta nel 1861, ebbe luogo nel nord. Ciò è dovuto all’unificazione del Paese, dove ci sono incarichi di Giuseppe Garibaldi (sì, lo stesso, che partecipò ai movimenti separatisti nel sud del Brasile), al sud, e del conte Cavour, al nord. A causa dello sviluppo della regione settentrionale, chi pose fine all’operazione finì per essere il conte Cavour.
Da allora, l’Italia è divisa tra il Nord, che ha enormi centri urbani e un più forte sviluppo sociale, economico e industriale, e il Sud, una regione più dimenticata, meno organizzata, più povera e più agricola.
Da questa divisione nasce l’ostilità tra i due popoli, dove si avverte un chiaro sentimento di superiorità da parte del Nord. C’è un forte pregiudizio tra gli abitanti di questa regione nei confronti della gente del sud, soprattutto nei confronti dei napoletani. Tra le forme di discriminazione ci sono termini come “terrone”, che prende di mira chi lavora sul campo, come avviene nel Sud. L’attaccante Osimhen è stato l’eroe dell’1-1 contro l’Udinese, risultato che ha regalato la vittoria al Napoli. Titolo dopo 33 anni (Foto: Andrea Stacioli/AFP)
Il pregiudizio è molto evidente nel calcio e nella sfera politica del Paese. Nel 2017, in Italia, il politico Matteo Salvini, che all’epoca apparteneva alla Lega Nord, un partito di estrema destra del nord Italia, scatenò polemiche intonando un inno che molti tifosi della regione dedicano ai cittadini di Napoli, chiamandoli sporco e dicendo che ha un cattivo odore. Inoltre, nelle partite contro il Napoli è possibile sentire il canto “Vesuvio, lavateli col fuoco”, in riferimento allo storico vulcano responsabile della distruzione della città romana di Pompei, situato vicino Napoli e che fa parte del territorio comunale paesaggio in riva al mare.
Tutte queste componenti spiegano la portata della festa a Napoli, come accaduto domenica scorsa, nel pareggio contro la Salernitana, quando lo scudetto dei Partenopei fu rinviato di un turno. Ma vincere lo scudetto, come le altre due vittorie ottenute dalla squadra, ha sempre un significato più grande. Si tratta di superare l’egemonia e dare senso al potere di una città condizionata da un sentimento di impotenza, almeno agli occhi di chi la vede così.
Si tratta di dimostrare che, soprattutto, esiste l’unità di un intero popolo nel nome di un club capace di ricordare agli italiani l’esistenza del terzo centro urbano più grande del Paese. E tutto questo attraverso un’arte che si differenzia da quella dei toscani del nord come Leonardo e Michelangelo, ma somiglia al carattere umile e agricolo del napoletano, cioè popolare e capace di generare scena dentro e fuori dal campo. Tutto questo onora l’impresa dei D10S, che hanno scelto l’antica città di Pompei per compiere il miracolo di mettere in primo piano le terre di Pino Daniele, e l’emozione ha travolto le strade di Napoli dopo il titolo. Festa senza fine (Foto: Alberto Pizzoli/AFP)
*Stagista sotto la supervisione di Tadeo Rocha