È il primo versetto menzionato qui nella versione letterale di Non essere triste, una delle poesie più famose di Osip Mandelstam, appartiene alla raccolta omonima del 1922. Non essere triste È la seconda parte della poesia di Mendel dopo la maledizione lui venne’ (Pietra), volume pubblicato nel marzo 1913.
In questa poesia, Ovidio e l’esilio è un involucro di stoffa, che, in quattro strofe di otto versi, seguendo il movimento metrico del tamburello pentatonico, dà un’immagine del sentimento dell’addio: con immagini di partenza, in una notte amara, da la soglia di questo lato delle tenebre, del Logos che significa il passare di un nuovo giorno. Una giornata per svelare la via, l’unità, la memoria e il riconoscimento. Il riconoscimento di custodire il fuggitivo al cospetto di un’immagine persa nella consapevolezza della distanza. La confessione accoglie e accoglie l’assente nella sillaba, nella dolcezza temporale e intima della sillaba.
Nel primo movimento della poesia, alle immagini che appaiono dalla lettura Non essere triste Da Ovidio, in particolare dalla Prima Elegia, 3 (“Cum subit illius tristissima noctis imago”), i motivi pittorici che derivano da una lettura di Tibullo, da canzoniDove il poeta latino rievoca il tempo prima della sua partenza per l’Oriente. Ma per un poeta come Mandelstam, ogni riferimento classico è una fonte di splendore nel teatro intimo, splendore che poi si condensa in immagini di cristallo, trasformandosi in scintillanti gocce di significato nelle metafore e pensando in numeri di suoni. Il significato fonetico delle parole poetiche – il “collegamento mosaico” di Dante – di Mandelstam è lo stesso della poesia. Per questo, portare la tua poesia in un’altra lingua è sempre un azzardo (si può dire diversamente da qualsiasi poesia ospitata in un’altra lingua). Questo è il primo verso, nella traduzione di Remo Faccani (Einaudiano), che abbraccia elegantemente la poesia russa, la sua armoniosa espansione, in una sequenza poetica dove l’endecasillabo italiano è la misura primaria, e la corda di basso (da cui ogni altra espansione verbale):
Conosco la scienza della separazione che ho imparato
Lilly sostiene la caduta dei capelli.
I tori stanno ruminando e l’attesa continua.
L’ultima ora del risveglio delle statue
le città. Mi inchino al rituale della notte
Gallo, quando – sulla spalla il peso del tormento
volo – hanno distolto lo sguardo con gli occhi umidi,
Il dolore delle donne si univa al canto delle melodie.
Imparare a dire addio è l’accoppiamento dell’esperienza immaginativa rivelata dai classici della poesia – La notte, le voci e le lacrime di Ovidio – con l’esperienza della separazione, della separazione dalla casa, dalla terra, dal tempo. L’addio di Ovidio, che il poeta russo evoca con la sua stessa voce e in un altro momento, è il passaggio allo stato di esilio, cioè lo stato in cui ogni appartenenza è dimenticata, per così dire, diventa astratta. , il passato. La nave è sprofondata nell’oblio, contenuta a malapena dai fremiti della nostalgia, il futuro è una nuvola oscura, sempre in fuga (Maria Zambrano scriverà belle pagine su questa situazione in esilio: un vago commento all’io, l’esperienza dello sradicamento , la difesa dell’unica patria che resiste all’abbandono Qualsiasi lingua).
La scienza dell’addio che il poeta russo afferma di aver appreso è diventata arteria e vena del suo sentimento: poesia, fino in fondo, la risposta – musicale, sconsiderata, dolce – sarà su questa scienza. La conoscenza è conoscenza del corpo, una ferita che non si rimargina mai. La lettura dantesca del poeta dall’esilio, la lettura instancabile, l’amore fisico e immaginativo, accompagneranno il poeta nel suo cammino, anche fino ai giorni più estremi dell’esilio. Il lamento dell’abbandono – le donne “pelose”, il grido dell’alba – va di pari passo con l’inizio di scene serene che mostrano il mondo rurale e la presenza degli animali: qui e altrove si incontrano. Al dolore dell’attesa e alle immagini che annunciano l’agonia del viaggio, il pubblico risponde, e la presenza del gallo viene mostrata con un “rumore” nella seconda strofa:
Chi, quando dice “arrivederci”, sa quale
La separazione arriverà presto da noi,
Cosa fa presagire un gallo arrabbiato?
Con le fiamme che bruciano nell’Acropoli,
E perché all’alba di una nuova vita,
Mentre il toro masticava pigramente il passaggio,
Gallo, presagio di una nuova vita,
Sulle pareti sbattendo le ali?
I commentatori evocano quel gallo che appare come “Uomo del giorno” – trovato anche in lui ama Ovidio – Inno di Ambrogio (sui galli) e il brano evangelico in cui Pietro rinnegò Gesù, «prima che il gallo cantasse», ma forse per la funzione di scudo del gallo che, con l’annuncio dell’aurora, denota un tempo nuovo, altrimenti tempo, possiamo ricordare una figura della tradizione ebraica, parlando correttamente del Talmud, e Bar Tarnegòl.Questo ghepardo è un gallo selvatico L’operetta è morale; Il narratore dice che un inno del gallo si trova in un antico manoscritto, scritto in una lettera ebraica, e in una lingua tra caldeo, targum, rabbino, cabalistico e talmudico.
Forse una delle fonti, quella invocata da Leopardi, è più familiare con i miti ebraici che hanno contribuito alla creazione del magnifico Mandelstam.
Negli altri due passaggi, la luce della Prima Casa risuona ancora nelle forme della “Bandiera dell’Addio”, rivelando l’aura di gesti ed eventi che si possono ascoltare da lontano. Attraverso il ruvido vetro meridiano si osservano immagini che provengono dall’epitaffio romano (qui, soprattutto da Tibullo), e scene grossolane dai bassorilievi di un'”Urna greca”: “Questo pover’uomo è il linguaggio della gioia”. Ma nella sillaba che chiude la terza sillaba, si manifesta il tempo, il tempo con l’onda della scomparsa e del ritorno, con la spina dell’irreversibile e il guizzo della dolcezza che già riconoscono lo stato, e, di conseguenza, l’essere interiore non esiste più:
È stato tutto in altre occasioni. Tutto tornerà di nuovo.
Solo un dolce momento di apprezzamento per noi.
È solo un breve passaggio nel meraviglioso mondo poetico di Mandelstam. Il poeta che pubblicò nelle sue poesie in vita e dopo la morte (i I Quaderni Vorona, IO Quaderni di Mosca) – e nella sua prosa (tra queste, Viaggio in Armeniae in poesiae Parliamo di Dante), che combinavano una simile impulsività con l’invenzione musicale, la passione per i testi delle canzoni, il loro suono, la loro indipendenza e prove illuminanti per le metafore. I versi di Mandelstam mostrano come il “demone dell’analogia” – l’omonima prosa di Mallarmé – non possa perdersi nell’oscurità e diluire una particolare tradizione allegorica, ma agisca con la brillantezza dell’intuizione e l’assoluta chiarezza dell’immagine, la costruzione di una linguaggio, e la forma propria del sentimento: lasciare l’origine del poeta russo a un movimento Il “picco” di questi segni, ha dato impulso a questa ricerca poetica. A proposito degli scritti di Mandelstam, Angelo Rebellino annota: “Nei saggi e nei racconti, come nelle poesie, egli mira a restituire il corpo delle cose, che ricopriva le sue tracce floreali impressioniste, unendole con un fitto intreccio. È quasi attento a sottovalutare e intensificare il flusso, dando alle parole spessore, cubismo, una sostanza cristallina satura di luce.
Alla base di questa ricerca poetica c’è anche il dialogo di Mandelstam con la poesia dei suoi amici come Marina Shvetaeva, Boris Pasternak, Anna Ashmatova: un dialogo che era un’esperienza comune della tragedia – quella tragica di un’epoca – e la poesia come linguaggio in cui le nebbie di questo tragico dipingere le tracce, le forme ei suoni di un altro tempo. Diversi anni dopo, nel 1957, Anna Achmatova in una poesia dedicata a un poeta Non essere triste, evocherà la comune “giovinezza sanguinaria”:
Oh quanto è forte l’odore dei chiodi di garofano
Ho sognato chissà quando c’è.
[…]Sono le nostre ombre che lampeggiano
nessun problema […]…
(Tradotto da Michel Colucci).
Si diceva del grande amore di Mandelstam commedia Dante. chi legge Parliamo di Dante (un Parla con Dante, tradotto anche) – le pagine che il poeta dettò alla moglie Nadezhda Yakovlevna, durante un soggiorno molto difficile in Crimea nella primavera del 1933 – non potevano fare a meno di conciliare questa interpretazione ardente, emotiva e innovativa della Crimea. commediaImmagini dalla stessa poesia di Mandelstam.
L’atteggiamento del poeta nei confronti di Dante (così come l’atteggiamento che ebbe verso altri cari poeti italiani, come Petrarca, dal quale tradusse alcuni sonetti, l’Ariosto, al quale dedicò alcune composizioni, e il Tasso) parte dall’idea che la poesia è quello che è. Non si può parafrasare: l’eccesso di significato della parola e dell’immagine.
La poesia di Dante è, per il poeta russo, un “tappeto multiordito”, di “metafore ramificate”, il cui brillante movimento affascina e impressiona il lettore. Le immagini della navigazione – il fluire dell’onda, l’ascesa improvvisa, l’intrusione improvvisa – possono servire a definire il suo meraviglioso potere linguistico. laggiù commedia Un meraviglioso “trattato di trasformazione”.
Il passo, il passo del viaggio nell’aldilà, è l’inizio della tua sposa. Uno schermo che mostra il suono fisico e fisico di un linguaggio musicale. laggiù commedia È un meraviglioso “poliedro”, “una forma cristallina, un solido che si interseca con forme che generano una tensione continua” (citazione da una traduzione di Serena Vitale). Così: «Il futuro dell’interpretazione dantesca sta nelle scienze naturali, quando si è raggiunta la necessaria raffinatezza e si è sviluppata la capacità di pensare per immagini». Anche l’opera esegetica davanti a Dante ci chiede di leggere quel grande poema in relazione al nostro presente. Perché i versi del poeta fiorentino sono “trucchi lanciati per rappresentare il futuro”. Possiamo dire così delle lettere di Mandel Stam. Versi che accolgono le ferite del loro tempo giungono anche a noi con echi e accordi che hanno trovato nel loro cammino: tra questi l’ascolto di un poeta come Paul Celan, che ha tradotto il poeta russo in tedesco.
La passione per la poesia fu costretta a fare i conti con la nebbia e il terrore di un clima politico come quello creato dal regime stalinista (a Stalin, un “montanaro del Cremlino”, Mandelstam dedicò una feroce poesia nell’autunno 33). È quello che è successo a un’intera generazione di poeti, forse il poeta più intelligente, entusiasta e generoso della nostra modernità.
Mandelstam fu arrestato nelle prime ore del 2 maggio 1938, poi condannato alla deportazione, sottoposto a grave deportazione, e infine internato in un “campo temporaneo” vicino a Vladivostok, in attesa di essere trasferito in un campo di concentramento a Kolyma. Morì alla fine di dicembre dello stesso anno. La descrizione del poeta che conforta i prigionieri recitando le sue traduzioni del Petrarca si diffonde nel mondo del Gulag.
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