Immagine: Sony Pictures/Divulgazione
Qualche giorno fa ho visto il film pluripremiato Sala professoriun lavoro interessante che mette insieme una serie di elementi sociali, emotivi, etici e morali… ma è di un’aula di insegnanti ancora una volta presente quella di cui intendo parlare.
Delle grandi perdite che hanno caratterizzato il periodo della pandemia, nelle aule docenti resta un vuoto evidente, anche se appena esprimibile. Li ricordo nei loro momenti di gloria, negli attimi prima delle lezioni, o tra una lezione e l’altra, tanta luce, conversazioni rinfrescanti, belle risate e, in molte occasioni, innescate da discussioni profonde, dei campi più diversi. A volte commenti su difficoltà con le classi o con gli studenti. Insomma, un’oasi esistenziale in cui le identità si costruiscono, si affermano e si rinnovano.
Ti garantisco che i miei colleghi insegnanti non faranno fatica a ricordare le prime volte in cui sono stati accolti nella sala professori. La sua importanza nella costruzione dell’“essere insegnante” è indiscutibile, un progetto esistenziale che non finisce mai, e in questo spazio ha trovato modelli da seguire.
Ma sono arrivati tempi diversi, di isolamento, e ci siamo reinventati, ricostruiti… e ci stiamo ancora adattando. Il discorso riguardava la necessità di essere più adattabili, più flessibili e più tecnologici. ci sono molti casi Sono da seguire, ma sono tutte artificiali come “l’intelligenza” che prende sempre più piede, ben oltre la materialità dell’aula docente.
D’altro canto, le scuole e le università cercarono di posizionarsi tra ciò che rappresentavano storicamente e la fluidità della nuova era. Tempi virtuali, arrendersi per sopravvivere.
In questo nuovo contesto, di difficoltà economiche affrontate da scuole e università, e di aule virtuali, prendiamo le distanze dal glamour di questo sacro spazio didattico. Ora, nonostante il numero crescente di aule vuote, non c’è spazio per l’aula insegnanti.
Ciò mi porta ad almeno due osservazioni: in primo luogo, siamo tornati dalla pandemia più vulnerabili all’isolamento, meno identificati gli uni con gli altri, più preoccupati dei nostri spazi e concetti, e più fluidi nelle nostre relazioni e nella nostra prospettiva sul mondo. futuro. Ne consegue, come hanno dimostrato le ricerche, che i nuovi professori universitari, ad esempio, non si vedono in questa attività a lungo termine, e non puntano all’insegnamento come attività finale, anche se, quasi sempre, amano davvero essere accademici .
La mia seconda conclusione è che potrebbe esserci un interesse a non valorizzare, o addirittura a smantellare, questo spazio poetico, ma anche politico, per esprimere e definire programmi e posizioni.
Non è difficile capire che se meno insegnanti si uniscono ai gruppi, diminuisce anche la pressione esercitata sugli enti che gestiscono le istituzioni che li impiegano, siano essi pubblici o privati, situazione che soddisfa questi gruppi.
Ciò comporta una maggiore fragilità dei lavoratori e dei rapporti di lavoro. È chiaro che nello stesso contesto di indebolimento degli organismi che rappresentano i gruppi, come i sindacati, anche la frustrazione o la difficoltà nel mantenere le aule degli insegnanti rientra nel progetto.
In definitiva, l’agorà dell’eccellenza accademica soffre una crisi, e con essa l’identità dell’insegnante e i progetti politici lì costruiti e coltivati. Parlando del progetto, forse questo dovrebbe essere un programma da sostenere da parte degli organismi professionali, in particolare la lotta per stimolare e reinstallare questi sacri spazi educativi, l’aula degli insegnanti.
Giovanni Minozzi Frederico Westfalen è professore presso l’Università Regionale Integrata (URI).