Come in un libro di Charles Dickens, i personaggi vengono trasportati nel passato, nel presente e nel futuro Foto: Maria Marin PH/Pandora/Devilgaiao
Il riferimento più immediato, stabilito nei primi minuti della produzione italiana Il primo giorno della mia vita, è a A Christmas Carol, un classico della letteratura di Charles Dickens che ha già ricevuto diversi adattamenti cinematografici.
Nel film di Paolo Genovese, che sarà presentato in anteprima giovedì 21 al Bellas Arts, un gruppo di persone che hanno posto fine alla loro vita, per vari motivi, sono riuniti da una sorta di angeli. Come nel caso di Scrooge di Dickens, Old Scrooge, vengono trasportati nel passato, presente e futuro.
Lo scopo è, come in A Christmas Carol, provocare un cambiamento di mentalità. Per Scrooge, ha amore per gli altri. Per il quartetto del “Primo anno della mia vita”, in un mondo competitivo e frenetico, questo è l’amor proprio.
Questo rapporto con la realtà turbolenta che circonda i personaggi non è chiaro, soprattutto nella scelta del luogo in cui gli eroi attraversano questo processo di passaggio, per così dire. È un vecchio hotel senza personale o altri ospiti.
Il luogo assume una luce arancione che ci trasporta in un altro luogo, più confortevole ed etereo. Non è nemmeno lontanamente un film di fantascienza o fantasy, poiché si concentra maggiormente sul dramma dei personaggi catturati in un momento cruciale della loro vita.
Sebbene ci siano dispositivi già visti in altri film sugli spiriti, come essere sul letto di morte o non essere visti dagli umani, questo non li rende speciali. Il film ricorda un po’ “Il potere del desiderio” (1987), con la sua tristezza alla vista di un mondo malato.
Come nel film di Wim Wenders, ci sono anche inquadrature azimutali (panoramica verso l’alto, verso il basso) e un angelo inquieto, che cerca di spiegare la complessità umana e mostrare che esistono davvero ragioni per vivere, nonostante un profondo senso di solitudine. Comune a tutti.
“Il primo giorno della mia vita” però non vuole essere un trattato esistenziale, concentrandosi sulla compassione di un angelo interpretato da Tom Servillo (“La Grande Bellezza”). Attraverso questo pregiudizio, la narrazione ci porta ad entrare nel regno della necessità di una seconda possibilità.
Il legame si rafforza con “A Christmas Carol”, nel senso che i personaggi hanno bisogno di vedere la loro sofferenza dall’esterno e il loro spostamento dal presente per capire che sono solo un granello di sabbia in un mare di infinite possibilità.
Le interazioni tra i personaggi lo rendono chiaro, poiché mostrano una vicinanza che trascende il desiderio di togliersi una vita, poiché Angel diventa una sorta di Clarence di “You Can’t Buy Yourself”, correggendo i percorsi con umorismo e fascino. .
Cervelo interpreta bene questo ruolo, rendendo il suo angelo una figura più misteriosa degli umani che sta cercando di aiutare, solo e con la chiara paura di non perdere le persone, cercando oltre ciò che può per evitare un risultato diverso.
È ciò che ci fa trovare gioia nelle scene emotive esagerate. Come quelli che, dimostrando che poche persone sono sempre perfettamente felici, provocano un blackout nelle città e accendono le luci nelle case dove c’è gioia.
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