Guardando le statistiche ufficiali, gli italiani non sembrano maniaci del lavoro. La giornata lavorativa è più corta che in quasi tutti gli altri paesi europei, se si tiene conto della maggior parte dei lavoratori, cioè di quelli che lavorano e dei lavoratori a tempo pieno.
In media, 38,8 a settimana. Nella sola Danimarca, il loro numero è inferiore a 37,6. La media europea è 39,7 ore e in Austria 40,8 ore. Sembrano esserci piccole differenze, ma nascondono differenze nell’organizzazione del lavoro, nelle condizioni economiche, nell’ampiezza dei diversi settori nei paesi.
Ad esempio, in media (con l’eccezione dell’Austria) nell’Est e in alcune aree dell’Europa meridionale, come Grecia e Portogallo, ci sono più orari di lavoro, dove l’industria è più diffusa e, in una certa misura, anche l’agricoltura, dove fisiologicamente funziona più a lungo e dove la produttività è inferiore.
In questo senso l’Italia, che fornisce statistiche simili a quelle di paesi più sviluppati come Paesi Bassi, Belgio e le economie scandinave, sembra essere un’eccezione. Il numero di ore di lavoro per un lavoratore a tempo parziale è superiore alla media.
Dati Eurostat
La verità è che dietro questi dati c’è una caratteristica distintiva del nostro mondo del lavoro: la disuguaglianza.
Il confronto con la Germania è eloquente. In alcuni settori, infatti, i lavoratori italiani trascorrono più tempo in ufficio, fabbrica e negozio rispetto ai lavoratori tedeschi, ad esempio in settori molto importanti come il commercio, l’alloggio, il cibo, la manifattura e molti altri servizi.
Essendo al di sotto della media tedesca ed europea, ce ne sono altri: sostanzialmente solo dipendenti pubblici. Coloro che sono generalmente classificati come dipendenti pubblici e operatori della difesa lavorano circa 3,2 ore in meno rispetto a Monaco o Berlino, ma nel settore dell’istruzione il divario sembra enorme. Circa 10 ore. 29,4 contro 38.5. Inoltre, per due ore, nei servizi sanitari e sociali.
Ci sono differenze nella cultura e nell’intrattenimento, e nelle attività finanziarie e amministrative, ma sono inferiori alla media.
Dati Eurostat
Naturalmente, questi divari diventano più marcati se si fa il confronto con l’Austria, il paese più “dipendente dal lavoro”. Ma anche in questo caso, nel commercio e nell’industria, gli italiani lavorano più ore alla settimana.
Dati Eurostat
Se si contassero solo questi due settori, i lavoratori italiani delle aziende di questi settori sarebbero ai vertici della classifica europea per ore lavorate, insieme a greci, portoghesi, rumeni, polacchi e cechi. Non è un caso che chi guadagna un’ora lavori di meno.
È difficile avere 35 ore settimanali che generano meno PIL e quindi salari più bassi.
In sostanza, l’Italia è tra i Paesi con la maggiore variazione nel livello dell’orario di lavoro, anche escludendo l’istruzione, i cui dati sarebbero fuori range.
Ci sono alcuni paesi in cui il divario tra il settore statale per eccellenza ei settori privati meno produttivi è molto ampio. Non a caso, si tratta di Spagna e Portogallo, e della realtà mediterranea con molti punti in comune con noi, dove il lavoro settimanale si svolge nell’ambito della pubblica amministrazione quasi quanto in Italia.
Il nostro Paese è anche tra i Paesi con il divario maggiore tra il tempo che uomini e donne trascorrono al lavoro. Per quest’ultimo si tratta in media di meno di 2,7 ore, mentre la differenza in media nell’Unione Europea è solo di 1,2, che è zero, ad esempio, in Svezia. È probabile che questa statistica influisca su un’ampia percentuale di donne che lavorano nello stato.
Dati Eurostat
Si tratta di lacune rimaste ampi nel tempo. Il numero di ore lavorate nella PA è rimasto basso rispetto al resto d’Europa, mentre il divario rispetto alla media UE si è infatti ampliato nel commercio e nell’industria. Infatti, se il tempo destinato a lavorare in questi settori in Spagna o in Germania è progressivamente diminuito, nel nostro Paese è rimasto costante o è diminuito in misura minore. Oggi in Italia, in queste regioni, si lavora più ore che in altri grandi paesi dell’UE.
Dati Eurostat
Né può avvenire diversamente se la produttività (e quindi il salario) non aumenta. Come non è cresciuto negli ultimi anni in quasi nessun settore a differenza di altre realtà come Germania o Francia. Siamo bloccati nel dilemma del PIL all’incirca costante per ora lavorata, e con esso i salari che possono essere generati.
Dati Eurostat
Se a questo aggiungiamo il settore pubblico dove il tacito accordo è ‘io pago meno ma tu lavori di meno’, allora la bassa produttività del sistema è esacerbata dall’inefficienza del settore statale e dalle disuguaglianze che inevitabilmente si verificano. Forse questo deve affrontare il problema della competitività del settore privato, poiché è innegabilmente vicino ad esso.