23 settembre 2023
Recentemente ho studiato i rapporti tra socialisti e comunisti in Val di Cornia negli anni ’80. In quel periodo molti comunisti locali si definivano migliorazionisti, ritenevano naturale l’alleanza con i socialisti e avevano come punto di riferimento Giorgio Napolitano, politico molto vicino a Piombino.
Napolitano infatti è stato prima di tutto un grande politico comunista. Nato da una famiglia borghese, il partito gli chiese di prendersi cura delle fasce più povere della provincia di Caserta. Sposò Cleo Bitoni, che esercitava la professione di avvocato per i braccianti agricoli. Si è formato quando gli ideali di liberazione del proletariato erano quindi elementi fondamentali e non meri elementi retorici.
Come leader del partito, si definì come la persona che meglio capì le difficoltà dell’economia sovietica e si aprì all’Occidente. Negli anni ’70 il socialista Willy Brandt iniziò a cooperare con i paesi comunisti. A quel tempo, i paesi dell’Europa occidentale avevano raggiunto un livello di uguaglianza e libertà che i paesi dell’Est potevano solo sognare. Napolitano ne approfittò per allacciare rapporti con i partiti socialisti e diventare il primo comunista a recarsi negli Stati Uniti, dove tenne anche conferenze in importanti università.
Negli anni Novanta Napolitano ha avuto un maggiore ruolo istituzionale, prima come presidente della Camera e poi in ruoli governativi. Infine, l’elezione di un senatore a vita e della presidenza della repubblica. All’inizio si distingue con uno stile duro senza essere troppo evidente. Anzi, si è attirato critiche da parte di alcune parti della sinistra perché non ha rispedito al mittente le leggi di Berlusconi. Inviò infatti alle Camere solo una semplice legge sul lavoro, ma intervenne duramente nella stesura di molti regolamenti.
Il 2011 rappresenta il suo anno più importante. A febbraio è scoppiata la guerra civile in Libia e la coalizione internazionale guidata da Francia e Regno Unito ha attaccato l’esercito di Muammar Gheddafi. Berlusconi non ha voluto intervenire contro l’amico libico, ma Napolitano temeva l’isolamento internazionale dell’Italia ed è riuscito a far cambiare idea al presidente del Consiglio.
In estate la situazione è peggiorata. Berlusconi sembrava prendersi cura del Paese nel tempo libero tra un partito e l’altro, mentre il debito pubblico era al centro delle pressioni internazionali. Ad agosto, la Banca Centrale Europea ha chiarito che gli aiuti all’economia italiana attraverso l’acquisto di titoli di Stato erano subordinati all’attuazione di rigorose misure di austerità. Credo che non capiremo mai se l’ignoranza di Berlusconi o la volontà delle élite internazionali di cambiare l’economia italiana abbiano avuto un impatto maggiore.
A quel punto a Napolitano non restava che allontanare l’imprenditore da Arcor. Ma ha commesso un errore nominando Mario Monti, che non aveva le capacità politiche o umane per guidare il Paese. Se ne è accorto lo stesso Napolitano quando il professor Bocconi ha prima realizzato il suo manifesto elettorale e poi si è candidato alla presidenza del Senato. Col senno di poi, l’arrivo di Mario Monti ha rappresentato un indebolimento della politica nei confronti di un’élite economica che si è rivelato ancora peggiore.
In pratica Napolitano ha scelto di favorire l’adesione alle restrizioni internazionali in nome della reputazione del Paese, piuttosto che dell’indipendenza della nostra classe dirigente. Questo è chiaramente il punto più controverso di tutta la sua esperienza politica.
Guardando indietro, nell’autunno del 2011, il Paese avrebbe dovuto tornare al voto, anche a rischio di caos economico. Oggi possiamo dire che l’austerità ha decisamente indebolito la capacità della classe politica italiana di pensare in termini razionali. La classe dirigente, infatti, non riesce ormai a trovare una combinazione tra il rispetto assoluto delle regole internazionali e le più stupide rivoluzioni populiste e sovraniste. A quel tempo era molto difficile prevedere questo risultato.
Ricordiamo infine il 2013, quando una classe politica che aveva completamente perso la direzione lo costrinse ad accettare la riconferma. Continuo a credere che questo sacrificio non sia stato altro che un grande sacrificio per amore del Paese, il che conferma il suo grande status politico.
Durante la sua rielezione, ha incolpato la classe politica cercando di farla maturare. Ma era solo un’illusione. Ha espresso l’auspicio che prima Enrico Letta e poi Matteo Renzi si impegnino ad attuare quelle riforme istituzionali che, secondo i sostenitori del miglioramento, rafforzerebbero la democrazia e ne accelererebbero i processi. Il progetto è crollato quando Matteo Renzi si è rapidamente alienato ogni simpatia popolare. Probabilmente è meglio così, perché la democrazia richiede processi decisionali lenti e consapevoli.
Negli ultimi anni Napolitano fece tutto il possibile per partecipare al dibattito politico, finché la sua salute glielo permise. Anche dopo essersi ritirato dalla vita privata, ha continuato a informarsi sulla politica, compreso quello che accadeva nella mia Piombino.
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Giorgio Napolitano, Partito Comunista Italiano, Presidenza
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Partiti e politici, Quirinale