Pubblicato il 19/07/2021 06:38
(Credito: Bretz Films / Divulgazione)
Con la popolarità di personaggi come Tio Maneco e prima della serie Chazan, Zarif e CiaL’attore Flávio Migliaccio, come spiega suo figlio Marcelo, i fan lo avvicinavano sempre per strada. Questo affetto e questo riconoscimento sono rappresentati nel film Migliaccio – Brasiliano in scena, che è stato firmato da Marcello Migliacchio nel testo e nella produzione. Insieme alla presentazione dell’attore al cinema e in televisione, il teatro, animato da ampi esercizi, ha un piano distinto nel film, in particolare con l’inserimento della pièce autobiografica Confessioni di un vecchio, che guida la narrazione del documentario.
“La commedia è stata una specie di addio che mio padre ha dato alla sua carriera e anche alla vita, perché la decisione che ha preso (il suicidio) l’anno scorso è stata filosofica, e penso di essere stato con lui per molto tempo. Lasciarsi appassire dalla vecchiaia. La commedia è una sorta di resa dei conti con Dio, che era ateo. E quest’ultima commedia è stata anche per lui un messaggio di volontà”, dice Marcello.
Girato in 15 occasioni e da diverse angolazioni, lo spettacolo è terminato su YouTube e presentava un documentario attuale che mostrava le origini sceniche della vita in Flávio Migliaccio: Ombre sulla finestraAccompagnato da suo padre. Dopo aver cercato di essere un lustrascarpe, un muratore e un meccanico, Migliaccio si ritrova al Teatro de Arena, con un’analisi della realtà brasiliana – “la mia gente, la mia lingua”, afferma nel film – e accanto a “il intellettuale”, con Augusto Boal – con cui ha giocato la Rivoluzione in America. Meridionale – e dall’ala ‘studentessa’, con Gianfrancesco Guarnieri e Oduvaldo Viana Filho, ha creato la parte ‘folk’ insieme a Milton Gonçalves.
“L’arena ha definito lo stile di un’intera generazione di attori in contrasto con il teatro imposto dato da Tonya Carreiro e Paulo Otran. Molti attori da quel momento sono venuti al modo di recitare brasiliano, e per Flavio, perché era istintivo, si adattava come un guanto in quel set, con il suo stile profondo. Nella recitazione”, osserva lo sceneggiatore in miliachio.
palcoscenico illuminato
Un’altra storia emersa dal corridoio allo schermo è quella di Helena Ignez, una delle più grandi muse del nuovo cinema. La donna della sua luce Dalla firma di una delle figlie dell’artista Sinai Sjanzrla. “L’incontro con il teatro è stato un incontro con la luce stessa, non solo con la luce del proiettore cinematografico, ma anche con la luce delle arti e dei successi personali e professionali”, valuta il regista del film, che in precedenza ha partecipato a più di 40 festival, su un percorso che ha toccato Cuba e la Turchia. Narrato da Helena, che si pone in eterna trasformazione, il lungometraggio sta praticamente debuttando in TV (Kurta Channel!), poiché il suo giro di affari è cambiato a causa della pandemia.
“Nel film mostro l’incontro di mia madre con Martim Gonçalves, una persona molto importante per la nostra cultura. Questo approccio è arrivato alla Bahia Film School, nel 1958. Lì, Glauber Rocha (ex marito di Ignese) e Antonio Pitanga (attore in Età della Terra)”, commenta il regista. Foto inedite del pezzo Le tre opere (di Bertolt Brecht) porta dinamica a un estratto del film sull’attrice che, insieme ad Antonio Abu Jamra, è stata in prima linea sulla scena teatrale, dirigendo opere come Savannah Bay e Cabaret Rambo – Una stagione all’inferno.
presenza maestosa
Il fascino dello streaming da Tamandua.TV.br, caratteristica Paulo Otran – Il signore delle scene (di Marco Abu Jamra) Esamina le scene di una parte degli oltre 80 pezzi a cui è dedicata la carioca, originari di San Paolo. Dalla stranezza di non appartenere a gruppi nell’infanzia al dedicare 16 ore al giorno alla formazione, passando per il miglioramento del corpo del Teatro Brasileiro de Comédia, due corde emotive, vista la forza della sua carriera che si è conclusa con la sua morte nel 2007 Non c’è niente di sbagliato nell’affrontare problemi come MacbethA cura di Faouzi Arabi, negli anni ’70, Autran offre anche sinonimo di eccellenza, nelle esibizioni in Ray lera (a cura di Ulisse Cruz), solitudine (Ibsen parafrasato da Eduardo Tolentino) e Shakespeare la tempesta.
Pioniere, nel 1957, insieme a Tônia Carrero, dei principali tour della band in Brasile, il film giustifica il motivo per cui Autran è stato in grado di raccogliere un pubblico per tre anni – come nello show anatra all’arancia. Il film ha anche mobilitato grandi nomi della settima arte, come Pepe Ferreira, ricordando quando lei gli consigliava di leggere entro il metro invece di cantare nella commedia. L’uomo del postoCosa che gli è valsa una standing ovation. Fernanda Montenegro offre una delle testimonianze più emozionanti. Ex partner della serie Battaglia dei sessi Stabilisce la fine del ciclo di generazione del combattente con la partenza dell’amico.
arena delle molestie
Credito: Camilla Cornelsen/Disclosure
Dietro le quinte in un teso montaggio di Amleto, sotto il bagliore delle luci di scena e l’attrito causato dalla compagnia guidata da Arthur (il ragazzo Olme), sostiene il lungometraggio Anna, del regista Heitor Dalia, un moderno debutto cinematografico. Regista per lungometraggi come À deriva (2009) e Serra Pelada (2014), Dhalia ritrae un ambiente prepotente pieno di umiliazione e mascolinità.
L’attrice e musicista Bella Lindeker interpreta Anna, pronta ad ascoltare i consigli del regista come “l’esagerazione non ha nulla a che fare con il teatro” e definizioni come “il teatro è una verità poetica”. Nel suo viaggio attraverso serate di creatività ed esercizi fisici, Anna sente il peso del bullismo. Gestire i poteri dell’arte e della settima arte di Shakespeare. Per Heitor Dhalia il cinema, nella lingua dei suoi sogni, è magico. Ma non si può negare il potere e le origini del teatro come rappresentazione dell’uomo».
» Tre domande // Heitor Dali, regista
Il teatro può essere un mezzo oppressivo?
La contraddizione è la base del dramma, sia dentro che fuori dal palco. Liberazione e oppressione sono forze che si scontrano e spesso abitano gli stessi spazi. Ma credo che il teatro liberi, non gli oppressi.
Come bilanciare i linguaggi del film?
E il teatro in Anna?
Mi preparavo e provavo come se stessi recitando. Questo processo è stato portato al gruppo. La troupe cinematografica era il nostro pubblico, immergendoci nel processo di ricerca del linguaggio teatrale. Da qui il risultato.
L’epidemia ha rinnovato la ricerca artistica degli spettatori?
La crisi ha fatto guardare dentro di sé e l’esperienza umana ha preso forza dalla presenza costante della morte. È uno di quei momenti che riafferma la nostra voglia di essere qui. Le arti celebrano l’esperienza umana. Penso che tutte le espressioni artistiche verranno fuori con forza da questo processo.