Di Paolo Baldozzi, ricercatore all’Università Cattolica, dove insegna Finanza diurna e serale, per tre anni e master
In cinque articoli, la riforma costituzionale del governo cambia radicalmente i rapporti tra elettori, Primo Ministro, Presidente della Repubblica e Parlamento. Ciò apre la porta a diversi problemi, soprattutto per quanto riguarda la personalità del potenziale secondo primo ministro.
Contenuto della proposta
Nella seduta del 3 novembre 2023, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge costituzionale che prevede l’introduzione dell’elezione diretta del Primo Ministro in Italia, oltre ad una serie di altre misure correlate. Ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione, la modifica non entrerà in vigore finché non sarà stata approvata due volte da entrambe le Camere. Oltre alla possibilità di indire un referendum, se la seconda approvazione non viene raggiunta a maggioranza qualificata. Sarà quindi il tempo a dire se, in un altro tentativo, il tradizionale parlamentarismo italiano verrà definitivamente superato o se, come nei casi precedenti, si andrà a finire nel nulla (o addirittura con la caduta del governo da lui proposto, come già avvenuto in 2011). il passato).
Il disegno di legge costituzionale “Introdurre l’elezione popolare diretta del Primo Ministro e razionalizzare il rapporto di fiducia” rivoluziona i rapporti tra elettori, in soli cinque articoli (quattro se si escludono le norme transitorie e definitive), il Primo Ministro, il Presidente della Repubblica e Parlamento.
Articolo 1: Abroga il secondo comma dell’articolo 59 della Costituzione (senatori a vita nominati dal Presidente): Se la riforma sarà approvata, gli unici senatori a vita saranno gli ex Presidenti della Repubblica, fermi restando i cinque attuali senatori nominati dal Presidente che resterà in carica grazie all’articolo 5 del DDL.
Articolo 2 Dal primo comma dell’articolo 88 della Costituzione sono soppresse le parole «o anche una di esse»: Il Presidente della Repubblica potrà sciogliere entrambe le Camere soltanto contemporaneamente e non avrà più la possibilità di sciogliere soltanto le due Camere uno di loro. In effetti, il potere di sciogliere una camera unica (nello specifico il Senato della Repubblica) è stato utilizzato solo tre volte nella storia repubblicana, e finché Camera e Senato avevano termini diversi, cioè fino al 1963. Il potere sembra in qualche modo logico. Ci si potrebbe addirittura chiedere perché il legislatore non lo abbia abolito prima.
Tuttavia, l’articolo 3 sostituisce integralmente l’articolo 92 della Costituzione e prevede l’elezione diretta del Primo Ministro, che resta in carica per un periodo di cinque anni. La votazione per eleggere il Primo Ministro e le due Camere si effettua utilizzando un’unica scheda elettorale. Per garantire, almeno sulla carta, una forte maggioranza al primo ministro, il nuovo articolo 92 prevede inoltre che la legge elettorale debba garantire “un premio assegnato su base nazionale, [che] Il 55% dei seggi nelle due Camere è garantito a liste e candidati legati al Primo Ministro”. Si prevede che il Primo Ministro sarà anche un membro del Parlamento. Non è però cambiato l’articolo 57 della Costituzione, secondo il quale il Senato sarà eletto “su base regionale”: questo elemento potrebbe creare qualche problema costituzionale con il premio di maggioranza assegnato su base nazionale.
L’articolo quattro modifica l’articolo 94 della Costituzione in due punti: in primo luogo, restano i vincoli di fiducia tra governo e Parlamento. Se il “presidente eletto” (così viene chiamato il disegno di legge) non ottiene la fiducia al primo tentativo, potrà riprovare una seconda volta. Dopo il secondo tentativo fallito, “il presidente della Repubblica procederà allo scioglimento delle due Camere”. In secondo luogo, il nuovo articolo 94, se approvato, prevede che in caso di “destituzione del Primo Ministro eletto, il Presidente della Repubblica [possa] Assegnare il compito di formare il governo al Primo Ministro dimissionario o ad un altro parlamentare nominato in relazione al Presidente eletto, per attuare le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici per i quali il governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia. Se questo tentativo non dovesse avere successo, il Presidente della Repubblica non avrà altra scelta che procedere allo scioglimento delle due Camere.
Come al solito, a seconda di chi ne parla, la riforma viene presentata in modo completamente diverso. Si tratta quindi della “madre delle riforme” come l’ha definita Giorgia Meloni, oppure si tratta di un tentativo di sabotaggio come ritiene l’opposizione? Se guardiamo il programma elettorale di Fratellanza d’Italia, che ha proposto la presidenza (cioè l’elezione diretta del capo dello Stato, che è anche il capo del governo), possiamo concludere che è nata la montagna classica, se non il proverbiale topolino, quindi qualcosa che gli somigli da vicino.Grande (la “semplice” elezione diretta di un primo ministro “sostituibile”).Sì, perché viste le premesse, alla maggioranza la proposta di legge avrebbe già dovuto sembrare una chiara Per chi ha la memoria un po’ più lunga, infatti, era la metà dei contenuti Il DDL è, e resta, la forza di Matteo Renzi, che recentemente ha sponsorizzato il premier in versione “sindaco d’Italia”, cioè l’elezione diretta del primo ministro e il premio di una maggioranza contestuale.
Ma c’è molta confusione tra parole e fatti: è molto difficile che il testo venga approvato nella sua forma attuale così com’è, sia per ragioni tecniche che per questioni puramente politiche. I poteri del capo dello Stato restano pressoché identici, è vero. Ma la sua libertà di scelta nella nomina del primo ministro è stata notevolmente ridotta: oltre al presidente eletto, anche il suo eventuale sostituto dovrà necessariamente essere scelto all’interno del Parlamento e, in particolare, all’interno della stessa maggioranza che ha vinto le elezioni.
Questo è forse uno degli elementi più controversi di questa sentenza. Da un lato perché, nel quadro di un sistema che prevede l’elezione diretta del capo del governo, non ha senso dare al Parlamento la possibilità di sostituirlo senza comportare al tempo stesso la cessazione dell’attività di entrambe le Camere (la cosiddetta “Simole Simul”). Dall’altro perché, paradossalmente, sembra concedere maggiori poteri al secondo presidente, che potrà essere sostituito solo a scapito di nuove elezioni. Inoltre, è difficile capire perché lo stesso primo ministro eletto debba essere un membro del Parlamento. Se ci riuscirà, non siederà mai in Parlamento, a meno che non venga sostituito. Una specie di premio di consolazione? Forse. Lo stesso premio di consolazione spetta ai candidati premier non eletti, cioè provenienti da altri partiti. Alla luce del dubbio, improbabile ma pur sempre possibile, che ci sarà una coalizione vincente, ma senza elezione parlamentare del presidente: cosa potrebbe accadere in questo caso? E ancora: qual è il vantaggio del voto di fiducia delle due Camere al governo guidato dal primo ministro eletto? È un voto sull’intero governo, e quindi anche sui ministri? Ma ciò che è altrettanto strano è che il Primo Ministro eletto può solo “proporre” e non “nominare” i ministri (proprio come sta accadendo ora). Il primo ministro è quindi eletto direttamente o semplicemente “fortemente suggerito” dagli elettori? Inoltre, sebbene la maggioranza appaia unita sulle riforme, resta da vedere se il Parlamento è davvero disposto a rinunciare alla libertà di esercitare un voto di sfiducia in maniera ampia, lasciando al presidente il compito di risolvere eventuali problemi politici. i problemi.
Molti dubbi anche sulla previsione del bonus di maggioranza del 55 per cento: il disegno di legge rimanda al Codice elettorale per ulteriori dettagli. Ciò significa che per attuare la riforma costituzionale non basterà l’approvazione del disegno di legge, ma servirà anche una nuova legge elettorale. Secondo le indicazioni del Consiglio, dovrà prevedere una soglia minima per una maggioranza su base nazionale, pena la dichiarazione di incostituzionalità come già accaduto in casi precedenti, salvo il ricorso al secondo turno di votazioni (ballottaggio). .
Per il momento la questione elettorale, per quanto importante, è stata lasciata in disparte ed è stata rinviata alla legislazione ordinaria. Potrebbe essere una buona idea “garantire” nella Costituzione stessa una legge elettorale adeguata al nuovo schema, così da evitare che il legislatore in futuro distorca, abusi o entri in conflitto con la consultazione sulla questione.
La scure riformista cade sulle spalle dei senatori a vita. Si tratta certamente di una misura simbolica, che non limita né aumenta il grado di democrazia del Paese, ma questa tradizione avrebbe potuto essere salvata semplicemente riducendo il numero dei senatori che potevano essere nominati dal Presidente della Repubblica, magari utilizzando lo stesso rapporto . Con i parlamentari (ad esempio, circa un terzo).
Dal punto di vista politico, la curiosità principale riguarda il destino di questo testo e alcune delle sue conseguenze.
Riguardo alla prima questione, molti associano l’incarico di primo ministro ad un’autonomia differenziata, come se le due questioni fossero in qualche modo collegate dal punto di vista dei cosiddetti “checks and balances”. In realtà si tratterebbe solo di una compensazione politica tra gli Alleati (i fratelli Italia e la Lega, ovviamente). Con ogni probabilità da qui alle elezioni europee dovremo aspettarci ulteriori sviluppi anche per quanto riguarda l’applicazione dell’articolo 116, comma 3, della Costituzione. Vedremo.
Inoltre, se la riforma darà i suoi frutti, sarà interessante vedere come potrebbe svilupparsi la coesistenza tra un primo ministro eletto direttamente e un presidente della repubblica eletto tradizionalmente.
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