Ora, ciò che è nuovo in questa conversazione non è né un ritorno agli anni ’60, né una riedizione dell’etica terapeutica dell’Illuminismo, come antidoto preventivo alla barbarie reazionaria, come una sorta di riforma culturale del pensiero, ma l’elevazione della scienza a livello un livello più alto. Una sorta di tecnologia anonima, rassegnata a essere semplicemente una gestitrice della conoscenza.
Essendo un gestore esclusivo, con il monopolio delle regole della produzione della conoscenza e dell’uso legittimo della ragione, la “scienza” sarebbe odiata per la sua arroganza e disprezzo per altre forme di razionalità, anche se non fossero scientifiche in questi termini.
Molte di esse sono chiamate semplicemente pseudoscienza, come se l’intero universo universale e tutta la ragione consistessero nella sostituzione del senso comune al vero sistema di conoscenza, reale e scientifico.
È interessante notare che questa supremazia della scienza è sottovalutata dalle classi più istruite (che sembrano comprendere meglio quanto sia completamente imparziale e disinteressata) che dalle classi popolari che credono ancora che forme più elevate di conoscenza giustifichino forme più elevate di autorità.
Pertanto, se vogliamo che le politiche pubbliche accettino, incorporino e tengano conto delle migliori prove scientifiche, dobbiamo urgentemente affrontare non solo la pseudoscienza, ma anche le tecnologie pseudoscientifiche.
Questa idea che le pratiche umane, con i loro dilemmi morali e dilemmi di decisione e scelta, possano essere affrontate da teorie “automatiche” che escludono qualsiasi dubbio o considerazione da parte degli “esseri umani”, diventa un facile bersaglio per l’insoddisfazione epistemologica.